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Simbologia del copricapo attraverso storia e archeologia

Coprirsi la testa è un uso antico se pensiamo che già nel periodo neolitico l’uomo usava larghi cappelli di paglia per ripararsi dal sole. Più tardi diverse tipologie di copricapo sarebbero state adottate sia per difendere la testa dalle temperature troppo rigide sia per proteggerla negli scontri.  Con il passare dei secoli, affianco alla funzione prettamente utilitaria, emerge anche una simbologia del copricapo diversa nel tempo e nello spazio… ma i il confine tra funzione utilitaria e simbolica è labile e non sempre facilmente definibile.

Certo i reperti archeologici che ci sono pervenuti non sono molti poiché si trattava di manufatti in materiali deperibili. Tuttavia ne troviamo ampia testimonianza nei dipinti, nella scultura, nei mosaici nonché in monete e documenti scritti.

Pelli di animali, dapprima usate al naturale e in seguito rozzamente conciate, furono i primi materiali. Le pelli venivano tagliate e legate insieme con lacci passati all’interno di fori praticati con rudimentali punteruoli d’osso.

La recente scoperta dell’uomo del Similaun ha fornito un esempio concreto di cappello “archeologico”.
Lana, cotone, seta, cuoio. Sono questi i materiali che da sempre la natura offre per proteggere le parti del corpo più delicate conservandole ad una temperatura il più possibile costante.

In età classica l’abbigliamento dell’uomo greco si completa con il petasos un copricapo a falde larghe in morbido feltro o in cuoio. Si trattava di un copricapo usato prevalentemente in viaggio e, forse proprio per questo, era associato al dio pellegrino Hermes. L’etimologia del nome che rimanda al verbo greco petannymi riferito all’azione di ‘spiegare’, ‘stendere’ detto di vele o vesti sta ad indicare un copricapo fornito di falda.

Simbologia del copricapo dall’età classica alla rivoluzione francese

Dalla Grecia il petasos venne esportato a Roma anche attraverso i personaggi della commedia latina che indossavano questo copricapo sulla scena come testimonia l’Anfitrione di Plauto. Il petasos continuò sempre ad essere considerato un “esotismo” adatto agli attori di teatro più che agli austeri cittadini romani che ritenevano poco virile coprirsi il capo con qualcosa che non fosse il lembo della toga. Prova ne sia il fatto che il suo nome non venne mai latinizzato.

Fra i cittadini di umile condizione, nell’antica Roma, era di uso comune il pileus, termine di origine greca (pilos) che già in Omero e Esiodo indica la lana lavorata a feltro e usata per foderare elmi e scarpe. Si trattava di un copricapo di origine antichissima; diffuso dai Persiani all’epoca di Alessandro Magno, ma ideato secoli prima dai Frigi. Ha la forma di una calotta di feltro, di pelle o altra stoffa aderente alle tempie, con una piccola falda rialzata e una estremità che ricadeva sul davanti o di lato. Questo tipo di copricapo stava a simboleggiare il riscatto dalla schiavitù: lo schiavo costretto a lavorare a capo scoperto, una volta liberato con la cerimonia dell’emancipazione riceveva il pileus come riconoscimento della riconquistata dignità.

Lo stesso significato assunse anche successivamente durante la rivoluzione francese quando i giacobini lo fecero diventare il proprio simbolo.  Il “bonnet phrjgien” infatti divenne segno della raggiunta libertà.

Di Anastasia Nicu per ModaItaly News

 

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